Il Ponte

Come tutti sanno sono trascorsi 51 giorni dal crollo del viadotto Morandi.


Solo adesso noi ci sentiamo di dire qualcosa al proposito. Non perché non abbiamo un'opinione ma perché la storia del crollo del ponte Morandi è una storia scritta col sangue. Quello dei 43 morti e quello che ancora scorre nelle vene di una Comunità posta di fronte ad una sfida epocale.
Infatti l'entità della tragedia ed i suoi risvolti economici, sociali, politici, hanno richiesto e forse richiedono ancora un'accurata riflessione, una notevole dose di equilibrio perché in ballo c'è la dimensione futura di Genova e della Liguria.

Per questo ci siamo presi del tempo. Il tempo necessario per evitare di cadere nel pessimismo di maniera di chi si appella all'orgoglio municipale mutilato, nella retorica cimiteriale di chi vuole trasformare le vittime in elementi monumentali, nel localismo globalista di chi oppone rigidità a flessibilità,  assistenza a progettualità, conservazione ad innovazione.

Dov'era, più o meno com'era. Questa, in estrema sintesi, la linea di azione, il tema centrale, delle diverse “anime” genovesi rimarcate più sopra.

Eppure, al di là dei ritardi nell'avvio delle procedure di intervento che fanno riferimento al Governo e delle conseguenti  legittime proteste dei Genovesi, la tragedia del 14 agosto proprio per la sua enorme gravità non può lasciare spazio alla disperazione, all'oscuramento, alla sola semplicità psicologica della pietà.

La tragedia è stata violenta ed il peso immane della sua violenza richiede capacità di comprensione nei giusti termini sia di ogni più piccolo fremito della Comunità ferita che della complessità sociale e politica della realtà nella quale gli eventi si calano.


L'obbligo per Genova e per la Liguria non è solo quello di vedersi riconoscere l'umile diritto alla memoria della propria presenza ma di veder riconosciuta la propria forza tramite l'elaborazione del dramma in un passaggio di consegne storico.


Esisteva una Genova, assente a sé stessa, ostaggio del proprio destino che è crollata con il Ponte.

Adesso può esisterne una che vuole tornare padrona del proprio destino attraverso la ricostruzione. Non del solo manufatto Ponte, ma di un'idea complessiva di Città e di Regione che, come quella di Antico Regime, sia proiettata sul futuro.
Un futuro fatto di una corretta pianificazione territoriale delle aree del Polcevera.
Un futuro fatto di un ripensamento degli scambi e delle solidarietà culturali economiche e sociali fra le diverse parti della Città evitando una volta per tutte le assolutezze formali e le ormai anacronistiche geometrie impersonali della Genova "poverista" degli ultimi 40 anni.


Qui nessuno chiude mai gli occhi " dicevano di se stessi gli Uomini che avevano fatto di Genova la Manhattan del XVI secolo.

Ora è il momento di ritornare, come quegli Uomini,  ad essere partecipi e protagonisti della propria storia.

La ricostruzione è una lotta contro la disgregazione della propria identità e per la conquista del respiro lungo del futuro. E se la mancanza di denari nazionale si tradurrà in disattenzione la Liguria possiede un patrimonio tale per fare da sé.

Allora la nostra modesta proposta è quella di riflettere bene e di non separare la ricostruzione del viadotto autostradale da un ripensamento complessivo sull'idea di Città.

Se poi sarà polemica....

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