La Repubblica di Genova tra nobili e popolari (1257 - 1528)

La Repubblica di Genova tra nobili e popolari 1257 1528

Il libro, edito da De Ferrari, è un bellissimo saggio storico scritto da un grande personaggio Genovese che, però, storico di professione non era.
Giuseppe Gallo era il discendente di un'antica famiglia patrizia di Genova, nato nel 1924 e morto nel 2003 dopo una vita ricca di cose da raccontare; attività, quest'ultima, che l'autore ha praticato sin da giovane, quando durante la guerra scriveva per giornali clandestini, impegno che gli procurò la deportazione a Mathausen.

Fu poi giornalista per diverse testate, fino a ricoprire gli importanti incarichi di corrispondente politico-parlamentare per il Secolo XIX, Presidente dell'Associazione Ligure dei Giornalisti e consigliere nazionale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Conseguì la laurea in Legge all'Università di Genova grazie al saggio "La guerra inesistente" sulla personalità giuridica dei gruppi armati insurrezionali.

La prefazione di Gabriella Airaldi è un ottimo passaporto per togliere ogni dubbio sulla natura e la veridicità di quel che il lettore troverà scritto proseguendo la lettura; una storia raccontata da un espertissimo e capacissimo giornalista che ha saputo dare ai fatti una sfumatura romanzesca (ma non romanzata) con una sagacia smaliziata (e talvolta maliziosa) che dona una luce più vivida e comprensibile; cosa che, forse, talvolta l'asciuttezza di un tecnico riesce in qualche misura ad offuscare.

Il saggio mostra e fa capire invece una storia che spesso,e forse anche senza eccessiva colpa, è malintesa dalla storiografia moderna e contemporanea tutta pregna di quel riverente monarchismo caratterizzante buona parte della produzione divulgativa storica, soprattutto ma non solo, italiana. Ciò è tanto vero che lo stesso Autore, conscio di questo problema, lo sottolinea ripetutamente nel testo.

Le origini nobili dell'Autore non gli hanno impedito nella vita di abbracciare la lotta popolare; per lo stesso motivo è stato capace di osservare, sottolineare e colorare -tale da renderla più evidente- l'importanza del movimento popolare nella storia della Città e dell'azione economica e poltica che ha esercitato su di essa, destinandola ad un'avanguardia storica impareggiata nei secoli da lui presi in esame e probabilmente (ci lascia capire) anche dopo. Azione ora di grande slancio ora di reflusso mortale ma sempre importantissima e determinante.

La storia che si legge non è quella della Città che tanto si ama trasmettere quasi all'unisono ma dimostra come alcune fasi, rilette secondo uno schema più aderente al carattere dei suoi abitanti ed alla loro storia, cambino totalmente aspetto. Viene ribaltata l'idea spesso errata che ormai si è indotti a farsi di essa.

É un po' come se Giuseppe Gallo avesse preso un dipinto chiuso in uno scantinato, annerito da secoli di candele e ammuffito dall'umitdità e avesse riportato alla luce tutte le tinte ed i contrasti che essi nascondevano.

Pagine 420    18,00-20,00 (se lo trovate; su ebay a 7,90 "come nuovo")

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IL SISTEMA

É un libro-interviIl Sistema Sallusti Palamarasta in cui l'ex-magistrato Luca Palamara ha il ruolo assoluto; Alessandro Sallusti gli fa da spalla nel ruolo di intervistatore.

Probabilmente molti di coloro che hanno seguito le cronache relative ad inchieste e processi di interesse generale avranno avuto la sensazione di un certa asimmetria  nell'andamento di alcune vicende giudiziarie.
É posiibile si sia trattato di un condizionamento indotto dalle simpatie (od antipatie) degli osservatori nei confronti delle parti coinvolte ma questo libro, verrebbe da dire questo verbale, pare legittimare quei "condizionamenti".

In un articolo pubblicato alcuni anni fa si sosteneva che  "... l’istruzione e le leggi siano  i pilastri su cui si regge una comunità ..." rilevando il fallimento del sistema scolastico italiano.
"IL SISTEMA" parla dell'altro pilastro, quello delle leggi, della magistratura, e ci descrive le attività di un magistrato che è stato protagonista centrale nella gestione dei livelli più alti del sistema giudiziario.
Ne emerge un quadro che lascia esterefatti.

L'indipendenza del potere giudiziario è codificata nella "Costituzione italiana" che al primo capoverso dell'art. 104 recita "La magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere.". Invece par di capire che potere legislativo (gli eletti nel Parlamento) e potere giudiziario abbiano "intrecci" che non si addicono alla norma sancita dalla carta di cui sopra.
Se le cose stanno come descritto (un contro libro-intervista potrebbe confutare quanto esposto nel volume recensito) pare che IL SISTEMA fosse noto e tollerato ( si potrebbe sostenere anche qualcosa di più? ) ai piani alti  dell'amministrazione statale. Allora perchè IL SISTEMA ha funzionato così liberamente tanto da non ispirare  domande a chi avrebbe potuto farle ?

Per l'anno scolastico in corso è stato previsto l'insegnamento dell'educazione civica, "IL SISTEMA" dovrebbe essere un testo da associare a quella materia per consentire ai discenti di discernere tra teoria e pratica.

IL SISTEMA, 286 pagine, euro 19,00

P.S. I caratteri stampati in copertina hanno due colori, quello con cui è scritto "IL SISTEMA" varia con l'incidenza della luce, col variare del punto di osservazione. Casualità o scelta deliberata?

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Storia di una storia locale

copertina del libro Storia di una storia locale

L'esprienza ligure 1792-1992

di Edoardo Grendi. Editore, Marsilio, 1996, pp. 183

Muovendo dall’incrocio tra le scienze analitiche del territorio e la storia economica, l’Autore, senza dubbio il più grande studioso dell’universo Ligure, sviluppa il tema del percorso della storiografia Ligure dalla fine del Settecento fino ai giorni nostri.

La selezione tra le diverse componenti intellettuali che hanno marcato questi due secoli riflette lo stile personalissimo dell’Autore.
L’analisi diventa così una lettura critica che si allarga a tutte le espressioni della storiografia; dalla tendenza antiquaria che ne aveva segnato gli inizi, al positivismo naturalistico dell’Ottocento, al tema dominante del ligurismo, che fissando la sua attenzione su questioni di ordine cronologico trascurando la dimensione socio-economica e antropologica delle vicende, come un ostacolo insormontabile, impedirà fino agli anni sessanta ed oltre del Novecento ogni rovesciamento di tendenza.

Lo studio di Grendi, oltreché indicativo per capire le ragioni dello scarso successo di ieri e di oggi della ricerca storica regionale, assume un valore esemplare per il lettore aprendogli la possibilità di intraprendere in proprio un nuovo e critico viaggio attraverso la lunga marcia della storiografia Ligure.

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"Il periplo di Baldassarre"

1665. Baldassarre Embriaco, nato in oriente da famiglia genovese, intraprende un viaggio lungo e avventuroso alla ricerca di un libro unico e misterioso: “Il centesimo nome”.
Baldassarre viaggia lungo l'intera costa nordafricana, e poi ancora a Lisbona, Amsterdam, Londra, per approdare infine a Genova.

È questo un libro fondamentale per chi voglia capire Genova, giacché racchiude in sé una speciale grandezza: l'annuncio di un destino, esemplificato attraverso l'inimitabile motivo del cosmopolitismo culturale della Genova Seicentesca.

Perché se la Vita, anche quella contemporanea, ha una base culturale significativa su cui voler poggiare, allora senza dubbio questa base si rifà a quel antico ricordo.

Non per niente, “Il periplo di Baldassarre”, con questa sua proposta di stare al mondo, ha rappresentato l'esatto strumento attraverso il quale un'intera generazione di apolidi culturali come i “pied noir”, i figli dei francesi fuggiti d'Algeria, ha cercato e trovato un luogo, Genova appunto, sul quale posare il cuore.


Naturalmente si possono muovere obiezioni, si può dire che il libro è anche qualcos'altro. Ma se si prova a materializzare la forma di questo qualcos'altro si scopre che è impossibile. Perché qualsiasi forza stia nel libro non potrà mai staccarsi dalla realtà, dal carattere e dal pensiero di quegli antichi Genovesi e della loro Città.

 

Il periplo di Baldassarre

N.d.R. la copertina riprodotta si riferisce all'edizione del 2000

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Favole & Numeri. L'economia nel paese di santi, poeti e navigatori

Con uno scarsissimo bagaglio culturale specifico ho letto “FAVOLE & NUMERI. L’economia nel paese di santi, poeti e navigatori” scritto da Alberto Bisin e pubblicato da “Università Bocconi Editore" (16 euro).

Il modo semplice e non accademico con cui l’Autore, Professore di Economia alla New York University, illustra e spiega alcuni aspetti dell’economia ne rende semplice la comprensione anche a persone come me.

Come da sottotitolo “…paese di santi, poeti e navigatori ” l’analisi della situazione della repubblica italiana occupa la maggior parte della trattazione.

In particolare nel capitolo “Lavoro, produttività, welfare” ho trovato considerazioni che mi hanno indotto ad un istintivo paragone con quanto proponiamo per lo sviluppo dell’intrapresa nella nostra Terra.

Pagina 131 “Purtroppo la politica del lavoro in Italia è profondamente carente. Una carenza dovuta anche (o forse soprattutto) a una grave mancanza di comprensione dei rapporti tra mercato del lavoro e attività produttiva in una economia di mercato.”.

Pagina 133 “Sono quarant'anni che in Italia siamo attanagliati dalla logica della contrattazione salariale centralizzata, associata alla regolazione per legge delle forme contrattuali: i risultati sono sotto gli occhi di tutti. E non è un caso: tutta la teoria economica ci dice che interventi diretti per regolamentare prezzi e condizioni contrattuali portano a gravi inefficienze.”.  Appunto : politica nel lavoro e centralizzazione sono agli antipodi della libera trattativa tra chi offre un lavoro e chi ha le capacità tecniche per realizzarlo. Direi che l’ingerenza della politica e l’accentramento della regolamentazione sono perfetti per soffocare il lavoro.

Pagina 134 “Nonostante la situazione drammatica del mercato del lavoro in Italia, continuiamo a raccontarci la favola della lotta di classe, nella versione movimentista del «salario variabile indipendente» di sraffiana memoria …”. E seguono le citazioni di tre “intellettuali”. Anche in questo caso ritengo di poter dire che l’ingerenza della politica, cui si asservono ragionamenti da azzeccagarbugli, va nel senso apposto alla creazione di occasioni per ottenere il benessere. Fomentare dissidi, invidie, conflitti serve ai politicanti per giustificare la loro esistenza e tutti i benefici di cui godono, di certo danneggiano coloro che vogliono intraprendere.

Pagina 136 e seguenti, paragrafo “Protezione dell’occupazione”. In queste pagine ho trovato alcune considerazioni “americane”, in realtà solamente ed estremamente logiche, sul lavoro ed il precariato.

Pagina 136 “In Italia la protezione legale dell’occupazione consiste in norme che … proteggono direttamente il posto di lavoro … al contrario, del tutto inadeguato è il sistema di ammortizzatori sociali atto a proteggere il lavoratore che abbia perso il posto di lavoro …”.

Pagina 138 “Secondo i risultati più robusti, una maggiore protezione del posto di lavoro implica una minore velocità di ricollocazione dei lavoratori … una minore occupazione ed una maggiore disoccupazione per giovani e donne …”.

Pagina 139 “In conclusione, che cosa potremmo aspettarci da un allentamento della protezione dell’occupazione, nel senso di protezione del posto di lavoro? Il mercato del lavoro diventerebbe più dinamico: più lavoratori perderebbero il lavoro, ma più persone ne troverebbero uno.”. Mi ripeto ma mi pare sia evidente che uno Stato -come quello italiano- pesante ed invasivo di tutti i settori della società, dalla legislazione pletorica e frequentemente contraddittoria, sia nocivo per il benessere di chi vuole darsi da fare. Di lavoro precario ne sentiamo parlare e ne leggiamo tutti i giorni ma anche su questo argomento incombe l’italico, premeditato , malinteso atto a fomentare la conflittualità se non addirittura l’odio che fa gioco ai politicanti di turno.

Pagina 140 “Quella di precario è la condizione in cui si trova un lavoratore a tempo indeterminato in una occupazione con minime prospettive di avanzamento di carriera e/o di trasformazione a tempo indeterminato e in un mercato di lavoro caratterizzato da alta e cronica disoccupazione.”. Quindi un precario non è il lavoratore che non è assunto in un “posto fisso” come ci danno da intendere; se il mercato è libero ed una persona è capace ed ha voglia di lavorare può cambiare tanti posti di lavoro senza mai rimanere disoccupato. Precario, nel lavoro come nella vita, è colui che ha poca conoscenza e si ritrova in una società senza riciclo di occasioni per le leggi che ingessano il lavoro. E quanto scrivo penso non sia una mia erronea interpretazione tanto è vero che negli esempi newyorkesi citati dall’Autore a pagina 141 la “precarietà” , cioè la propensione a cambiare i lavori “… è libertà, è qualità della vita; e si trova a tutti i livelli sociali ...”.

Ho già scritto troppo quindi vedo di chiudere rapidamente.

Le ultime venti pagine sono sostanzialmente dedicate all’analisi complessiva del sistema italiano che può sintetizzarsi in : spesa pubblica eccessiva, clientelare ed inefficiente.

Quindi uno Stato che succhia risorse e rende servizi scadenti complicandoci enormemente la vita.

Qualsiasi persona di buon senso si libererebbe di un fardello così dannoso e pesante.

I genovesi, invece, no. Rinunciano ad esercitare il diritto di staccarsi dallo Stato italiano ed abbandonare alla deriva una barca che ci porta alla rovina. Maniman …

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