La via del Federalismo

In questo periodo di forzata “reclusione” domiciliare, proviamo a fare una misurazione del battito cardiaco della democrazia nello Stato italiano, premesso che:

Nel primo i popoli sono soggetti ai quali viene soltanto permesso di possedere una proprietà privata, ottenere un’educazione, lavorare, pregare e parlare poiché è il loro governo a consentirglielo. Nello Stato libero i popoli sono costituiti da cittadini che si mettono d’accordo per essere governati secondo un patto consensuale che deve essere periodicamente rinnovato ed è costituzionalmente revocabile.

È questo urto fra l’autoritarismo e la democrazia liberale che crediamo costituisca il maggiore conflitto ideologico del nostro tempo. La questione federalista che risolve alla radice la questione non è più all’ordine del giorno, e molto si è fatto e detto per inquinare il lessico; proveremo allora a ragionare sul fatto che esistono anche vari tipi di foedus; ovvero: accordo, patto, alleanza.

Una Nazione, per dirla con Johann Gottfried Herder (1744 – 1803), poggia su tre pilastri: i suoi confini, la lingua materna, l’idea di comunità che esprime. In Italia, viene da applicare questo detto di De Gaulle: «Non c’è che una fatalità, quella di popoli che non hanno abbastanza forza per tenersi in piedi e si coricano per morire. Il destino di una nazione si guadagna ogni giorno contro le cause interne ed esterne di distruzione.»

Infatti, la Repubblica italiana con le sue marcate differenze tra nord e sud difficilmente esprime un’idea di comunità e le cause di dissoluzione interna sono alimentate dall’infinita conflittualità dei partiti. Tale fenomeno nel secolo scorso fu all’origine del sorgere del nazi-fascismo. Quelle esterne che ne paventano la distruzione sono sotto gli occhi di tutti: a livello internazionale l’Italia non conta nulla. Come nei secoli bui, è terra “di conquista” economico-ideologica.

Thomas Jefferson (1743 – 1826 è stato un politico, scienziato e architetto statunitense, ed anche il terzo presidente degli Usa) in una lettera a Joseph C. Cabell, il 2 febbraio 1816, scriveva tra l’altro:«No, mio caro amico, il mezzo per avere un governo buono e fidato non sta nell’affidare ad un unico organo tutto il potere, ma nel dividerlo fra molti, distribuendo a ciascuno esattamente le funzioni che è in grado di assolvere. Che al governo nazionale siano affidate la difesa della nazione e le relazioni estere e federali; ai governi degli stati le leggi, i diritti politici e civili, la polizia e l’amministrazione di quanto concerne lo Stato nel suo complesso; alle Contee le materie di interesse locale e a ciascuna comunità minore gli affari che la interessano direttamente. È dividendo e suddividendo la grande repubblica nazionale in queste repubbliche minori fino alla ripartizione più minuta, finché si giunga all’amministrazione da parte di ciascun individuo della propria fattoria; è attribuendo ad ognuno la direzione di ciò che può tenere d’occhio personalmente, che tutto verrà fatto per il meglio. Che cosa è stato a distruggere la libertà e i diritti dell’uomo in ogni forma di governo esistita sotto il sole? L’estendere e il concentrare tutti i poteri e tutte le funzioni in un solo corpo.»

Da queste brevi annotazioni si dovrebbe comprendere il perché la partitocrazia è restia a parlare di federalismo, e quando ne è costretta inquina il lessico. Infatti, i partiti anziché essere egemoni, sarebbero ricondotti alla loro funzione più naturale di semplici delegati.

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  • Ospite (Filippone)

    Tesi interessante con, nel nostro caso, un solo limite. Gli italici abitanti. Come dimostra il caso Coronavirus l' Italia è composta da 20 famiglie regionali diversissime e sempre in lite fra di loro. Per fare una federazione bisogna che i sottoscrittori abbiano qualcosa in comune. Almeno un'idea seppur vaga di appartenenza nazionale o un sistema di valori. A cominciare dal senso di responsabilità. Qui non c'è una cosa e neppure l'altra.

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