Quale ruolo per Genova?

Avverto il Lettore con chiarezza.

Non è mia intenzione prendere le parti ed il posto di nessuno, tantomeno assumere una vicinanza od una distanza verso i singoli candidati alla elezione per il Sindaco di Genova e le loro eventuali proposte. Tuttavia non posso tacere che nella rubrica «Il dibattito» sul numero 19 della rivista «La Città», giornale di impegno civile, ho trovato un articolo titolato: «Cinque punti per cambiare Genova».

Primo: Tornare a crescere.
Secondo: Una città educativa.
Terzo: Una città giusta per tutti.
Quarto: Sostenibilità e diritto alla città.
Quinto: Una città più grande e più vicina.

Ognuno di questi argomenti affronta un nodo decisivo per il futuro di Genova ed almeno quattro - il primo, il terzo, il quarto ed il quinto - sono al centro dell’impegno di A.R.Ge. da circa tre anni .

Evidentemente vi sono ragioni che finalmente sono state comprese non solo da chi, come noi, federalista per natura, si batte per un diverso modello di Città e di regione dentro, non contro, un’Italia rinnovata, ma anche da quella parte culturale che, impegnata su altri fronti, solo saltuariamente si preoccupava di costruire un immaginario credibile intorno a cosa Genova è stata per poi immaginare, e dire, dove vuole andare.
Naturalmente, per ogni singolo tema, la lettura proposta della nostra Associazione in parte si discosta da quella offerta ai lettori de «La Città». Ma quelli trattati sono temi-obiettivo e dunque è persino necessario che ogni soggetto sia portatore della sua propria esperienza. Anche opposta. L’essenziale, mi pare, è che questi argomenti una volta per tutte vengano immessi nel dibattito pubblico.

La rivista diretta dal Prof. Luca Borzani lo ha fatto. Benvenuta nel pieno del maelström di Genova. Speriamo altri seguano.
Per uscirne c’è bisogno di aprire un dibattito critico coinvolgendo le migliori energie intellettuali della Città sfidando, con ciò, i raggruppamenti di interessi più conservatori. Che sono tanto di qua come di là. A sinistra, a destra e nel centro.
In quanto alla posizione dell’Associazione Repubblica di Genova i Soci mi scuseranno se, prendendo a riferimento lo schema del citato «n. 19», mi permetto di riassumerla nel modo seguente.
Su alcuni punti, come il primo ed il terzo, siamo andati abbastanza avanti coinvolgendo soggetti diversi a livello locale come nazionale.

Ormai è chiaro che «tornare a crescere» non è una questione demografica ma intellettuale; conoscenza e ricerca sono le linee guida. L’insediamento di centri di ricerca e di nuove imprese produttive ad alta tecnologia e basso consumo di spazio è una necessità impellente. Nessuna città del terzo millennio può cambiare di scala se non elimina il problema delle fabbriche.

Circa «una città giusta per tutti», obiettivo al quale noi sostituiamo quello di una «ri-Generazione della Città», pensiamo che vi siano due linee di azione. Attrarre giovani preparati e trattenere i nostri al seguito dell'insediamento di nuove attività. Quindi ristabilire un rapporto fra le generazioni partendo da quello che alle due estreme categorie manca: confessare all'altra ciò che di quella non piace e ciò che si sarebbe disposti a riconoscerle.

Sul quarto, «rapporto con la città-porto» concordiamo in pieno. Genova, anche quella della Repubblica, era ed è una città con porto non una città portuale. In più un eccessivo sviluppo portuale è contrario all’espansione dell’industria tecnologica. Urbanisticamente i due soggetti non possono coesistere se non al prezzo di un ridimensionamento di quello marittimo.

Sul quinto, «una città più grande e più vicina», proponiamo una chiave di lettura più intimamente connessa a Genova antica, richiamando in questo la metafora della «città-virtuale», circondata com’era da comunità autonome ma partecipative. Principio oggi rievocato nell'ipotesi della città fatta di altre città.
Del resto la concentrazione degli interventi di recupero urbano nelle aree centrali non ha permesso di attivare  le «Delegazioni», che  già nel titolo incorporano l’attribuzione di una inferiorità di specie, incanalando le loro energie in una opposizione che sta avviandosi ad essere radicale ed a raggiungere forme di intensità psicologica irrecuperabili. Oppure recuperabili in un contesto di post-città.

Cioè la fine della Genova che ancora immaginiamo possibile.

Una conclusione brusca, al limite della sopravvivenza.

Ma il tentativo di ribaltare questo risultato riporta ai temi poco prima introdotti.

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