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- Scritto da Pierluigi Patri
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Il Prof. Paolo Savona ha lamentato che alcuni trattati europei limitano l'autonomia economica e finanziaria delle istituzioni italiane per il vincolo del 3% nel rapporto deficit/Pil e l’obbligo del pareggio di bilancio. Queste considerazioni le ho già sentite esporre anche da politici ed altri esperti ed io non ho le cognizioni tecniche per argomentarne una contestazione.
Però, riallacciandomi alle considerazioni espresse nell’articolo di ieri del Sciô Palanche, reclamare la possibilità di sforare il 3% e la libertà di non rispettare il pareggio di bilancio mi sembra prevalentemente utile all’acquisizione del facile consenso.
Una edizione autarchica dell’elicottero monetario?
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- Scritto da Sciô Palanche
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Quale siano le parole esatte non sono riuscito a capirlo ma la sostanza è: “I mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto".
Lo ha affermato Herr Guenther Oettinger suscitando le indignate proteste italiane e la pronta correzione di Christoph Jumpelt che ricopre il ruolo di capo della comunicazione di Deutsche Welle, tanto che quella frase si è ammorbidita diventando “Dai mercati segnali a elettori italiani".
Sia come sia dire che il re è nudo risulta ineluttabilmente eretico.
E che il re non sia molto vestito lo dimostra il sottostante diagramma
che potete leggere con più agio andando qui.
Non mi capisco di economia statale mentre sono un po’ più pratico in quella domestica, cioè i conti della “serva” per fare quadrare il bilancio familiare.
Qualcuno potrà obiettare (se ne è sentito parlare da esperti in interventi sulle varie testate giornalistiche stampate e non) che un conto è il bilancio di casa ed un altro quello di uno Stato.
Sarà anche così perché le grandezze di scala sono centinaia di migliaia di volte superiori, però se una grande azienda -quindi una realtà nettamente superiore ad una famiglia media- avesse per i propri bilanci lo stesso andamento che hanno i conti dello Stato italiano il fallimento non tarderebbe.
A questo punto, stante il tendenziale aumento del rapporto deficit pubblico/prodotto interno lordo, lo Stato di cui sopra deve contrarre debiti oggi per saldare quelli di ieri e diventa il cane che si morde la coda.
Comprensibile che i creditori vadano in ansia immaginando una deriva che possa portare alla mancata restituzione dei soldi prestati. Quindi quanto affermato -in una forma o nell’altra- da Herr Guenther Oettinger è perfettamente comprensibile.
Cosa si può fare per invertire quell'andamento? Non ne ho idea.
Mi pare ineluttabile che la numerosissima “famiglia” italiana sia indirizzata verso una brutta china, un precipizio.
E cosa rimane da fare ai membri più accorti di quella “famiglia”?
Andarsene velocemente prima di essere risucchiati dai gorghi.
Cari Liguri tenete presente quanto disse Formica Rino (più volte ministro) : il convento è povero ma i frati sono ricchi.
Quindi per salvare il convento è sufficiente trasferirgli i soldi dei frati.
Impossibile? Impensabile? Ipotesi indecente?
Ricordatevi la notte tra il 9 e 10 luglio del 1992, protagonista Prof. Amato Giuliano, all’epoca Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana. Oggetto: conti correnti.
Ai risparmiatori fu sottratto il 3% di quanto giacente sui conti correnti.
Più facile di così...
Tanto facile che ripetere lo scherzetto sarebbe facilissimo.
Alegri, gente.
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- Scritto da Peter Beffroy
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Strana eredità dell'estate, questo dibattito attorno ad un calice di Rosé ed alla Terra di Liguria.
Sembra che almeno una parte dei comportamenti degli interessati trovi un supporto nella necessità di distanziarsi dalla realtà della società contemporanea italiana, ritenuta prepotente e traditrice, per riorganizzare modi e possibilità di “fare” attorno ad altri luoghi ed altre comunità, strutturati attorno al principio di una diversa educazione civica.
Strana, ma non sorprendente.
Quelli citati nei due articoli precedenti a questo sono soltanto altrettanti esempi di quelli che io chiamo, “espatriati dall'Italia”. Delusi da una Terra che cercano di approdare su un'altra; diversa e migliore.
Soprattutto diversa.
Non sono pochi questi esuli. Semmai sono soli, dispersi. Espatriati, appunto.
La loro origine forse è antecedente al momento attuale; di sicuro, però, è adesso che questa amarezza, talvolta tristezza, di sicuro assillo, avversione, disgusto, ha preso quella vaghezza ideale della ricerca di un Altrove.
Lo avevo già notato una prima volta, proprio questa estate, parlando con diversi italiani, quasi tutti del Nord, incontrati in Francia.
Coppie o famiglie in vacanza per i quali la scelta della destinazione non era più solamente giustificata, come avevo notato in passato, dall'interesse per quell'insieme di tradizione, storia, cultura, arte, che comunemente va sotto il nome di “charme” e decreta universalmente la grandezza della Francia. Questa volta la mozione dei sentimenti era stata sostituita da una scintilla di razionalità. Quegli italiani erano in Francia per godere di un periodo, di una misura, come mi ha detto uno di loro, di civiltà.
Non più il marchio della “grandeur” dunque, ma la semplicità di una quotidianità socialmente ordinata. Dove i monumenti sono accessibili, le località ben tenute, i turisti disciplinati, i prezzi chiaramente indicati, il personale pubblico gentile ed educato, le strade sicure, gli autobus in orario e senza “portoghesi”, la polizia discreta ma presente.
Il messaggio era chiaro. Dall'Italia non possiamo andare via ma cerchiamo di farne a meno.
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- Scritto da Pierluigi Patri
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Ho letto l’articolo di Pier Cristiano Torre: è interessante ed il contrasto di cui parla mi ha suscitato istintive considerazioni.
Proprio perché istintive ho ritenuto opportuno farle sedimentare per verificare se avessero un senso o fossero solo frutto di sentimenti che, talvolta, possono portare fuori via.
In compagnia di un Rosé ho usato come cartina al tornasole i miei sentimenti per la Terra di origine di mia nonna materna, l’Oltregiogo e più precisamente Parodi Ligure. Certo la condizione non è sovrapponibile a quella di suo cugino sia per le distanze diverse che separano lui e me dai rispettivi luoghi di origine sia perché la mia frequentazione di quei luoghi è comprensibilmente più assidua della sua.
Credo, però, che l’elemento determinante il diverso atteggiamento mentale (“Laggiù”) sia tutt’altro: l’amministrazione pubblica (statale e periferica).
È comprensibile, direi ovvio, che i rapporti parentali non risentano di quella differenza ma le constatazioni sulla vita quotidiana lasciano il segno. Il senso civico che specchia il grado di civiltà di un gruppo sociale lo si constata appena si esce di casa.
Auto parcheggiate fuori dai limiti o in doppia fila, carta cicche e scatole di sigarette buttate per terra, aiuole e parchi mantenuti male dalle amministrazioni e utilizzati peggio dai cittadini, automobilisti che non rispettano i semafori ed altre abitudini incivili sono di immediata constatazione per chi proviene da nazioni in cui comportamenti del genere non sono tollerati ma nemmeno abitudine della gente.
Ritengo che per questo quando suo cugino viene dalle nostre parti si riconosce nel gruppo familiare ma si sente altrove –“Laggiù”– quando esce dall’ambito familiare.
Forse è come può capitare ad uno di noi quando si trova in certi luoghi della penisola italiana e “Laggiù” è il termine con cui il cugino ci dimostra quanto sconveniente sia la nostra convivenza con l’italica struttura statale e l'habitus mentale che caratterizza gli abitanti della penisola.
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- Scritto da Pier Cristiano Torre
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Siamo 40 cugini.
In questo modo “Bacci”, il cugino di mio padre, qualche anno fa definiva l'insieme della nostra Famiglia.
Per la verità questi 40 cugini non erano cugini nel senso di figli di zii o figli di cugini dei genitori. Erano “cugini” nella percezione di famiglia, tipica di una tradizionale Casa genovese, dove all'insieme della parentela vera e propria si unisce quello della affinità per contatto, presenza, prossimità, somiglianza. Dove la Famiglia diventa un Clan.
Un universo particolare nel quale tutti si conoscono, tutti sono pronti a litigare con tutti, ma sempre con una forte coesione morale, giacché tutti sono disposti a far fronte comune contro le invadenze o intrusioni pericolose o negative di chi non vi appartiene. Sia esso un vicino, un “foresto”, o la cattiva Amministrazione Pubblica.
Faide e Parentele, sotto il terzo millennio, parafrasando il titolo di un celebre studio storico sulla realtà sociale della Repubblica di Genova.
Per tutta la generazione precedente alla mia i legami fra i “cugini” erano piuttosto stretti. Con la mia generazione i legami diretti si sono allentati. Io, naturalmente, so chi sono gli appartenenti alla Casa ma alcuni non li ho mai visti. So della loro esistenza, niente di più.
In effetti i contatti più stretti si hanno in occasione dei funerali. Lì si ha una diretta esperienza di cos'è un Clan genovese. La cerimonia si conclude sempre con una festa. Ricordando il morto com'era da vivo e onorando la vita come merita: vivendola insieme alle persone di fiducia.
Lo scopo di questi rapidi cenni sulla fisionomia di una antica Casa genovese è di aiutare a comprendere quello che mi è successo poco tempo fa.
Ero stato invitato a compiere un tour fra le case vinicole della Provenza per assaggiare il Rosé, il vino dell'estate francese. In una sala da Thé della “Provenza Verde” ho assaggiato il vino di una piccola casa produttrice che, a mio giudizio, è stato largamente il migliore di tutti quelli bevuti in una settimana. Migliore anche di quelli prodotti da “Chateau” blasonati.
Così, ho scritto al proprietario complimentandomi. Mi ha risposto invitandomi alla sua tenuta.
Lì ho scoperto che sua madre portava il mio stesso cognome ed era originaria di Genova.
– Da che zona di Genova?
– Da Aggio*
– Avevamo dei “cugini” ad Aggio.
Ho saputo che la madre del mio interlocutore effettivamente era la figlia di un antico “cugino” trasferitosi all'estero più di 50 anni fa. Per questo mi era sconosciuta.
In breve abbiamo riscoperto forti somiglianze. Del resto, lui non ha mai estinto i suoi rapporti con la Liguria.
Ogni anno vi trascorre un periodo di vacanza. Tuttavia se nei miei confronti il contesto a cui fa riferimento questo mio “cugino” ritrovato è quello tipico della larga parentela genovese spostando il ragionamento sul complesso della realtà ligure la questione cambia.
L'uomo si rivolge all'insieme regionale con il termine : “Laggiù”. Marcando una distanza che va ben oltre quella che lo separa fisicamente dal confine.
É come se parlasse di un mondo lontanissimo e diversissimo da quello a lui caro cioè la terra di origine di sua madre. Quasi il suo rapporto personale con la Liguria fosse regolato da due opposti principi: quello positivo del cognome e della parentela, quello negativo dell'articolazione e delle pratiche della società ligure contemporanea.
Non mi era ancora capitato prima di incontrare un simile contrasto. Da una parte il riconoscersi pienamente in un qualcosa e subito dopo lo smentirsi.
Certo, molte persone hanno scarsa opinione di numerosi aspetti della odierna realtà ligure, specie se raffrontata ad altre situazioni contemporanee o ai fasti del passato. Ma nessuno, mai, mi aveva presentato questa difficoltà sotto la forma di una incompatibilità fra la sua matrice individuale ed i principi di identificazione collettivi.
Per questo ho deciso di raccontarlo.
Magari, qualcuno fra i Lettori saprà darmi una spiegazione.
*Aggio è una località situata lungo i primi tornanti della strada che da Genova-Molassana sale a Creto.