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- Scritto da Peter Beffroy
- Categoria: Costume e Società
Girava così, con il palmipede al guinzaglio, Gil De Ponti, buon attaccante del Bologna famoso più per gli atteggiamenti disincantati e provocatori fuori dal rettangolo di gioco che per i suoi gol.
Non ho mai saputo che cosa volesse rappresentare per De Ponti l'immagine dell'oca al guinzaglio.
Se un'idea di sé stesso, estro bizzarro desideroso di libertà, o l'innata tendenza a non valutare con chiarezza critica gli eventi che, vuoi per propria volontà, vuoi per inavvertenza, molti di noi coltivano come se fosse una scintilla della coscienza anziché una bizzarria che interferisce nella nostra vita, portandoci a chiudere gli occhi sulla realtà.
Quando va bene.
Quando va male, quei molti copriranno senza scampo il ruolo di "stupidario" natalizio solitamente coperto dal palmipede da cortile del titolo.
Questo ruolo secondario ovviamente sarà interpretato per far carriera al vertice in quello primario: quello dell'uomo con propensione autodistruttiva. Perfetto e dunque senza protezione.
Non c'è nessuno nella nostra società che possa interpretare meglio il ruolo dell'uomo con propensione autodistruttiva del piccolo proprietario immobiliare.
Irrazionale fino al limite dell'autolesionismo quando si fa in quattro per affittare appartamenti del valore di diverse centinaia di migliaia di euro ad inquilini che a garanzia offrono un'incerta solvibilità.
Eppure nella sua vita di proprietario ha imparato bene a sue spese quanto sia importante la solvibilità. Almeno tutte le volte che è andato in banca a chiedere un prestito per ristrutturare casa
Niente.
Con l'ostinazione di una creatura atavica continua a sorvolare sull'unica qualità necessaria ad un affittuario: la solvibilità duratura e garantita nel tempo.
Ma non vorrei tergiversare. L'autolesionista proprietario di case è autolesionista proprio perché non è così per disattenzione o inesperienza ma perché lo vuole. Lo vuole con tutta l'anima.
Altrimenti non si spiegherebbe come mai si sia riunito in un “sindacato” che al momento della stipula dei contratti di locazione gli propone non quello più vantaggioso per lui, come sarebbe ovvio e legittimo, ma quello concordato preventivamente con la controparte: l'inquilino. Dove le richieste di quest'ultimo sono determinanti in assoluto.
Uno qualunque pretenderebbe almeno un'azione a livello politico per il rispetto inappellabile della data di scadenza locazione.
Per nulla.
Il piccolo proprietario vive sempre in clima di esercizi spirituali.
Allora le parti firmano un tipo di contratto che, unico al mondo, esenta uno dei contraenti al rispetto delle scadenze temporali.
Eppure una volta il Codice Civile prevedeva il rispetto inequivocabile di questi termini. Da una parte e dall'altra.
Niente da fare.
Destino? Ingiustizia?
Ma neanche per sogno. Un proprietario immobiliare accorto non è indispensabile per nessuno. Tantomeno per sé medesimo. È il tormentone di oggi.
Come mai Politici che in campagna elettorale promettono aliquote massime di imposte sugli immobili ricevono regolarmente il consenso del cittadino proprietario?
Deve esserci qualcosa che non va nell'attribuzione dei ruoli.
Come diceva un amministratore pubblico: con i padroni di casa dobbiamo fare tutto noi, spesso anche i proprietari.
* Tratto da Oche al guinzaglio in corso di pubblicazione.
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- Scritto da Montaguy Spinola
- Categoria: Costume e Società
Una serata magnifica e sorprendente.
In questo modo sento di dover commentare l'incontro di mercoledì 1 ottobre promosso presso il Politeama Genovese da Mediolanum Corporate University per il ciclo “Centodieci è Ispirazione”.
Far incontrare al pubblico persone speciali per condividere le loro esperienze ed i loro valori, secondo il sottotitolo scelto dai promotori.
C'entra evidentemente con questo sentimento di lode la figura dell'ospite della serata: Patch Adams.
Il racconto della sua esperienza di medico che si è scelto il destino di creare un approccio alla cura attraverso l'approfondimento di temi quali la fiducia, la forza dell'amore e lo sguardo positivo, ha dimostrato una volta di più come gli atti ed i comportamenti quando non hanno un carattere astratto e neutrale ma bensì rimandano ai valori cardinali di una data società, assumono un senso sociale profondo e nessuno spazio resta all'improvvisazione. Con giustizia, peso e misura, dicevano gli antichi.
Ecco, Patch Adams ha reso trasparenti questi concetti.
Ma altri aspetti hanno costituito la base di questa immagine positiva e sorprendente. Su tutti l'organizzatore: Mediolanum Corporate University.
Dico la verità; prima di mercoledì sera non sapevo che esistesse.
Da tempo la mia personale esperienza delle Banche mi aveva abituato al fatto che reclutassero i loro quadri dirigenti nelle Università pubbliche ed i loro collaboratori a contatto con i clienti secondo un vecchio criterio di largo consumo: nel vasto litorale dei diplomati. Le prove accumulate del resto non lasciavano dubbi circa la seguente preposizione generale: le Istituzioni bancarie spesso sono ancorate alle usanze sparagnine del rapporto Banca-Cliente, nel quale il secondo riceve come proposta-obiettivo letteralmente quella del risparmio. Laddove cioè il ricavo-finalità deriva semplicemente dal “non spendere” il denaro disponibile.
Però il mondo cambia e per fortuna arrivano delle intuizioni. Delle idee improvvise, secche come un significato colto al volo. Arrivano insieme ad un evento come se fossero portate da quell'evento.
Così mi è capitato mercoledì sera con “Centodieci è ispirazione”.
L'istantanea comprensione che mi ha afferrato riguardava appunto il ruolo dell'Istituto promotore. Un punto di forza, un vero e proprio collettore di energie, ispirato dal cosmopolitismo e dalla tolleranza, a favore di una Banca per fornire una visione chiara, rapida e completa delle strategie aziendali, dell'uso delle risorse e della formazione e dell'impiego del lavoro umano. Altro che litorale dei diplomati. La creatività e la competenza al servizio della proposta finanziaria.
Rinnovarsi dandosi da fare, imparando a non sperare ed a non temere. Vista dal lato dell'ormai esangue capacità finanziaria ed imprenditoriale Ligure non è poco.
Caratteristico è stato anche il modo di affermarsi di questa mia intuizione. Fortemente convincente. La chiarezza oltre che dai contenuti è derivata dal risvolto anagrafico dei protagonisti di questa impresa; sono giovani. Il che determina in modo concreto e positivo l'organizzazione del modo in cui sarà vissuto il rapporto tra promotori e destinatari.
Certo tutto questo è spiegabile con il fatto che la realtà alle spalle di questo nucleo di produzione intellettuale ha dato forma ad un'impresa ben conscia che la prospettiva del suo Cliente deve essere continuamente pensata, costruita, tutelata, lasciando alle spalle i relitti della stagione del risparmiatore-non spenditore, che ha ormai concluso le sue funzioni, per concentrarsi su quella più rappresentativa della complessità dei tempi attuali dove il risparmiatore è anche investitore.
Poi, che tutto questo sia accaduto a Genova e che un pubblico fatto di 1.000 persone abbia preso atto di una forma mentis ben diversa da quella solitamente corrente in Città ha perfino dell'incredibile.
L'antica Genova era una città modernissima, fatta sempre per l’avvenire.
La nuova da parecchio vive del passato e nel passato.
Se, come si dice, i fatti parlano da soli che Genova, prendendo spunto da nuovi livelli di organizzazione, stia cambiando volto?
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- Scritto da Megollo Lercari
- Categoria: Costume e Società
Un articolo pubblicato sul sito di “La Repubblica” parla del Capitano Gregorio De Falco.
Non necessita alcun commento.
Lo dedico ai genovesi ed ai liguri addormentati che, per ignoranza o pigrizia, mai hanno un soprassalto di lucidità.
Ecco cosa vi meritate. Vi meritereste anche di peggio e non è detto non vi accada.
Provate ad essere orgogliosi di quello che siete …
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- Scritto da Pierluigi Patri
- Categoria: Costume e Società
Qualche tempo fa ho raccolto lo sfogo di un amico divorziato da alcuni anni e con due figlie.
Il nocciolo del suo problema sono i soldi ed il lavoro.
La ex-moglie non ha reddito e gli ha chiesto soldi che i giudici le hanno accordato, le figlie non riescono a trovare un lavoro “adatto a loro” (parole testuali del mio amico) lamentandosi che “il lavoro è un diritto”.
In questi casi l’unica possibilità di dare un po’ di sollievo all’interlocutore è lasciarlo parlare per consentirgli di sfogarsi ed attenuare, almeno temporaneamente, l’arrabbiatura, il disappunto e la tristezza.
Ripensando al diritto sostenuto dalle due fanciulle e memore delle ripetute affermazioni di svariati sindacalisti ho digitato su un motore di ricerca la frase “diritto al lavoro” e tra i primi rimandi è comparso niente po’-po’ di meno che il sito del governo italiano là dove riporta la costituzione italiana.
Art. 1- L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 4 - La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Può darsi che ci siano altri articoli che trattano l’argomento ma questi due mi sono bastati per cercar di capire come funziona la faccenda.
Allora, partendo dall’articolo 1, se la repubblica democratica è fondata sul lavoro significa, credo, che lavorare sia elemento pregante la sostanza della repubblica italiana. Vale a dire che chi lavora (avendone le capacità psico-fisiche) costituisce la sostanza della repubblica cioè è la repubblica.
Pertanto tutti coloro che potendo lavorare non si prendono la briga di fare alcunché non costituiscono la repubblica e sono fuori dall’organizzazione sociale.
Lo immagino già il lettore politicamente corretto di destra-centro-sinistra che salta sulla sedia disgustato osservando : ma come? ed i disoccupati?
Proprio per neutralizzare immediatamente osservazioni del genere chiarisco che, per quanto ho scritto, è evidente che non considero fuori dall’organizzazione sociale chi rimane momentaneamente senza lavoro perché l’attività svolta è andata in difficoltà.
Momentaneamente … appunto e non i nullafacenti di professione che diventano chiedenti.
Articolo 4 : lo trovo badogliano, di un relativismo cristallino, un gioco di prestigio lessicale quasi divertente.
Il diritto del primo capoverso ( “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro …”) diventa un dovere in quello successivo (“Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, …”) se si ritiene che l’affermazione “… un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.” indichi un lavoro (fisico od intellettuale).
Mi rimane un po’ oscuro il significato dell’affermazione bizantina “… secondo le proprie possibilità e la propria scelta …”.
E se uno scegliesse l’attività di giocoliere agli attraversamenti pedonali o la funzione di contemplatore come la mettiamo?
Concorre o non concorre “ … al progresso materiale o spirituale della società.” ?
Comunque il primo capoverso dell’articolo 1 chiarisce ogni dubbio: tutto l’ambaradan funziona se c’è qualcuno che lavora e la prova provata è l’amico divorziato.
Poiché lavora, cioè guadagna dei soldi, è stato costretto a versare moneta sonante alla moglie ed a mantenere le due figlie (tutte e tre nullafacenti con varie motivazioni).
Mi scappa da ridere pensando a come andrebbe la faccenda se lui piantasse lì di lavorare.
Lui magari potrebbe arrangiarsi ma come camperebbero le tre donne?
Magari sarebbero costrette a darsi da fare per mettere insieme il pranzo con le cena, pagarsi luce-gas-acqua, il vestitino, il rossetto ed il cellulare ultima generazione (che, mi ha detto l’amico, tutte e tre hanno ed usano senza risparmio).
Allora per chi è fatto un po’ così-così ed il lavoro lo vede come un impegno discutibile e non necessario la lamentela è il modo migliore per andare avanti, per ottenere un “reddito”.
Piangere miseria, chiedere cioè diventare petentes (participio presente del latino petere che italianizzato diventa : pezzente) costituisce un ottimo espediente per essere ascoltati dal politicante di turno che trova un tornaconto elettorale -quindi entro un orizzonte di breve periodo (1)- nel sostenere l’insostenibile, nel mediare (come dicono i politicanti), giacché ciò che si sostiene da solo non ha bisogno di essere perorato.
A questo punto mi si attorciglia il ragionamento.
Se “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita … ” andando a votare i propri rappresentati, i quali sono prevalentemente attenti ad ottenere il consenso, che possibilità hanno le persone che lavorano di vedere neutralizzati i pezzenti?
Proprio nessuna a meno di non trovare qualcuno che sostenga e realizzi il seguente principio : chi non lavora non mangi! (principio enunciato sia da San Paolo che nella Costituzione dell’Unione Sovietica).
(1) "La politica democratica è strutturalmente vincolata a un orizzonte di breve periodo. La natura del sistema democratico spinge gli uomini politici ad occuparsi solo dei problemi che agitano il presente. Le altre grane, quelle che già si intravedono ma che ci arriveranno addosso solo domani o dopodomani non possono essere prese in considerazione. A differenza di ciò che fa la migliore medicina, la politica democratica non si occupa di prevenzione.". da Angelo Panebianco
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- Scritto da Santi Giacomo e Filippo
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Non sono un filologo né mi intendo di semantica ed etimologia ma talvolta le parole mi incuriosiscono.
Per esempio : lepegôzo.
Solo al pronunciarla mi pare già di scivolare ed associare questo termine ad un individuo lo rende immediatamente sgradevole. Sarei curioso di sapere come è nato questo termine ma, come premesso, non ne ho la capacità.
La stessa curiosità me la suscitano le parole importate.
Il nostro Camallo trasportato a Genova dall’arabo ḥammāl (portatore) ; oppure Dàrsena che, sempre dall’arabo dār-ṣinā῾a (casa dell’industria; fabbrica), è arrivata sino al nostro Porto.
Un amico archeo-speleologo, con una ricchissima esperienza di indagini in Anatolia, mi ha raccontato dello stupore del personale turco quando hanno sentito chiamarlo “Bacan” dai suoi collaboratori perché, in Turco, Bakan significa Ministro quindi da noi, per esteso, Capo.
Sia in Genovese che in italiano ci sono parole quasi identiche: Pægoa/Pêgoa cioè ombrello/pecora, pèsca/ pésca cioè il frutto/il pescare.
Ancora più interessanti e, a mio parere , significative sono due parole genovesi identiche per scrittura e pronuncia ma dai significati diversi : Mâ: Mare/male, Scito: casa/proprietà.
I Genovesi, abituati a viaggiare per il mondo con le navi sul Mâ avevano verificato per esperienza diretta che quella distesa d’acqua consentiva di accumulare ingenti guadagni ma, quando la Fortuna voltava le spalle, il Mare faceva mâ , tantissimo mâ , diventando fonte di danni, di disastri, di miseria, di dolore, di lutti.
Il doppio significato di Scito (casa-appartamento/proprietà fondiaria) probabilmente accomuna le idee di famiglia e di ricchezza (grande o modesta che sia). Del resto quello che in altre parti del mondo si chiama “patrimonio” già nella Liguria dei precordi riguardava tanto il patrimonio d'onore della famiglia quanto l'unità dei beni posseduti dalla stessa, facendone una cosa sola.
Questa struttura di pensiero è rimasta intatta lungo il corso della storia unendo in un solo sistema comunitario la grande aristocrazia finanziaria, la borghesia mercantile ed il mondo paesano pienamente terricolo, giungendo infine ai giorni nostri incarnando il culmine della logica culturale tradizionale.
D’altra parte già i Latini sostenevano che “nomina sunt omina” e mi pare che quella loro sentenza si adatti perfettamente alle nostre due parole.