Il lavoro è un diritto.

Qualche tempo fa ho raccolto lo sfogo di un amico divorziato da alcuni anni e con due figlie.
Il nocciolo del suo problema sono i soldi ed il lavoro.
La ex-moglie non ha reddito e gli ha chiesto soldi che i giudici le hanno accordato, le figlie non riescono a trovare un lavoro “adatto a loro” (parole testuali del mio amico) lamentandosi che “il lavoro è un diritto”.
In questi casi l’unica possibilità di dare un po’ di sollievo all’interlocutore è lasciarlo parlare per consentirgli di sfogarsi ed attenuare, almeno temporaneamente, l’arrabbiatura, il disappunto e la tristezza.

Ripensando al diritto sostenuto dalle due fanciulle e memore delle ripetute affermazioni di svariati sindacalisti ho digitato su un motore di ricerca la frase “diritto al lavoro” e tra i primi rimandi è comparso niente po’-po’ di meno che il sito del governo italiano là dove riporta la costituzione italiana.

Art. 1- L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 4 - La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Può darsi che ci siano altri articoli che trattano l’argomento ma questi due mi sono bastati per cercar di capire come funziona la faccenda.

Allora, partendo dall’articolo 1, se la repubblica democratica è fondata sul lavoro significa, credo, che lavorare sia elemento pregante la sostanza della repubblica italiana. Vale a dire che chi lavora (avendone le capacità psico-fisiche) costituisce la sostanza della repubblica cioè è la repubblica.
Pertanto tutti coloro che potendo lavorare non si prendono la briga di fare alcunché non costituiscono la repubblica e sono fuori dall’organizzazione sociale.
Lo immagino già il lettore politicamente corretto di destra-centro-sinistra che salta sulla sedia disgustato osservando : ma come?  ed i disoccupati?
Proprio per neutralizzare immediatamente osservazioni del genere chiarisco che, per quanto ho scritto, è evidente che non considero fuori dall’organizzazione sociale chi rimane momentaneamente senza lavoro perché l’attività svolta è andata in difficoltà.
Momentaneamente … appunto e non i nullafacenti di professione che diventano chiedenti.

Articolo 4 : lo trovo badogliano, di un relativismo cristallino, un gioco di prestigio lessicale quasi divertente.
Il diritto del primo capoverso ( “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro …”) diventa un dovere in quello successivo (“Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, …”) se si ritiene che l’affermazione “… un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.” indichi un lavoro (fisico od intellettuale).
Mi rimane un po’ oscuro il significato dell’affermazione bizantina “… secondo le proprie possibilità e la propria scelta …”.
E se uno scegliesse l’attività di giocoliere agli attraversamenti pedonali o la funzione di contemplatore come la mettiamo?
Concorre o non concorre “ … al progresso materiale o spirituale della società.” ?

Comunque il primo capoverso dell’articolo 1 chiarisce ogni dubbio: tutto l’ambaradan funziona se c’è qualcuno che lavora e la prova provata è l’amico divorziato.
Poiché lavora, cioè guadagna dei soldi, è stato costretto a versare moneta sonante alla moglie ed a mantenere le due figlie (tutte e tre nullafacenti con varie motivazioni).
Mi scappa da ridere pensando a come andrebbe la faccenda se lui piantasse lì di lavorare.
Lui magari potrebbe arrangiarsi ma come camperebbero le tre donne?
Magari sarebbero costrette a darsi da fare per mettere insieme il pranzo con le cena, pagarsi luce-gas-acqua, il vestitino, il rossetto ed il cellulare ultima generazione (che, mi ha detto l’amico, tutte e tre hanno ed usano senza risparmio).

Allora per chi è fatto un po’ così-così ed il lavoro lo vede come un impegno discutibile e non necessario la lamentela è il modo migliore per andare avanti, per ottenere un “reddito”.
Piangere miseria, chiedere cioè diventare petentes (participio presente del latino petere che italianizzato diventa : pezzente) costituisce un ottimo espediente per essere ascoltati dal politicante di turno che trova un tornaconto elettorale -quindi entro un orizzonte di breve periodo (1)- nel sostenere l’insostenibile, nel mediare (come dicono i politicanti), giacché ciò che si sostiene da solo non ha bisogno di essere perorato.

A questo punto mi si attorciglia il ragionamento.
Se “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita … ” andando a votare i propri rappresentati, i quali sono prevalentemente attenti ad ottenere il consenso, che possibilità hanno le persone che lavorano di vedere neutralizzati i pezzenti?
Proprio nessuna a meno di non trovare qualcuno che sostenga e realizzi il seguente principio : chi non lavora non mangi ! (principio enunciato sia da San Paolo che nella Costituzione dell’Unione Sovietica).

 

(1) "La politica democratica è strutturalmente vincolata a un orizzonte di breve periodo. La natura del sistema democratico spinge gli uomini politici ad occuparsi solo dei problemi che agitano il presente. Le altre grane, quelle che già si intravedono ma che ci arriveranno addosso solo domani o dopodomani non possono essere prese in considerazione. A differenza di ciò che fa la migliore medicina, la politica democratica non si occupa di prevenzione.". da Angelo Panebianco

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Persone in questa conversazione

  • Ospite (Andrea Chiesa))

    Mio cognato è in una situazione molto simile a quella del suo amico. Sembra incredibile che i Giudici prendano decisioni senza considerare le posiibilità di lavoro dei chiedenti , come li ha definiti lei. Forse sarà anche colpa delle leggi che vengono approvate dai rappresentanti del popolo. Sia come sia anche la situazione di mio cognato ha dell'inverosimile.

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  • Ospite (Meneghin)

    Piove sul bagnato.Lavoro non ce n'è e quel che poco che c'è i più tanti non vogliono farlo. Come si dice, fin che ce n'è viva lo Re, quando non ce n'è più viva Gesù.

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